Yoshimasa e la tecnica del Kintugi
Ho iniziato a tenere un diario sulla realizzazione del progetto. Mentre scrivevo il concept, ho istintivamente associato il giardino alla pratica del kintsugi.
Il kintsugi è un’antica tecnica di restauro ideata dai ceramisti giapponesi.
Secondo la leggenda più accreditata ebbe origine nel XV secolo d.C., quando Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun del dominio Ashikaga, che si distinse per la fioritura della cultura e delle arti, avendo rotto la propria tazza di tè preferita, dopo un restauro poco estetico effettuato in Cina, la affidò ad alcuni artigiani giapponesi che riempirono le crepe con resina e polvere d’oro.
Gli oggetti riparati con questa tecnica diventano così opere d’arte uniche ed irripetibili, trasformandone la fragilità in un punto di forza e perfezione, nonché in metafora delle crisi e dei cambiamenti che ciascuno può dover affrontare nel corso della vita.
E come l’oggetto rotto viene riparato senza nascondere le crepe, le persone possono superare i traumi e le ferite interiori mostrando con orgoglio le proprie cicatrici, in quanto testimonianza del processo di rinascita.
In questo progetto il giardino stesso, attraverso i cicli naturali delle piante e i rituali che la cura delle stesse comporta, è il materiale prezioso con il quale ricucire le ferite ed evocare energie profonde, quasi primordiali, l’incarnazione di un istinto di sopravvivenza a cui aggrapparsi nei momenti più neri, un principio di scambio equivalente, inteso in senso alchemico.
IL GIARDINO MEDIEVALE
Quando abbiamo iniziato il progetto, avevamo già a disposizione un piccolo fazzoletto di terra circondato da siepi di conifere; due alte, che proteggono dal vento e dagli sguardi indiscreti, e due più basse, che consentono di avere un colpo d’occhio anche da lontano. Infine, all’incrocio delle siepi basse, un albero di melograno, esile e snello, che costringe ad abbassarsi per entrare nello spazio, come se il luogo pretendesse un gesto di rispetto per svelarsi completamente.
Per diversi anni il terreno era stato utilizzato come orto, alternando i pomodori e le zucchine alle patate. Ma è stato anche sfondo per l’ultimo scatto della serie fotografica Cappuccetto Rosso, in cui la protagonista acquisisce una coda da lupo!
Quando abbiamo piantato le siepi, avevamo già in mente una struttura che ricordasse un giardino monastico, una sorta di hortus conclusus racchiuso in un quadrato simbolico e protetto da mura vegetali, segreto e magico.
L’hortus conclusus è la forma tipica di giardino che si diffuse durante il Medio Evo,
sia nel mondo laico-cortese che in quello religioso, ovvero uno spazio verde cinto da un alto muro che lo isola dall’esterno, rappresentazione simbolica del “Giardino dei Giardini” per eccellenza, cioè del Paradiso terrestre.
Considerato anche come giardino dello spirito divenne quindi metafora dell’esistenza umana, luogo e strumento concreto per trovare le risposte a fondamentali quesiti esistenziali della vita e a esperire il legame tra sé stesso, la Natura e il Sovrannaturale.
SIMBOLOGIE E METAFORE
Il giardino, fin dai tempi antichi, è un universo colmo di profonde simbologie, un’allegoria che svela i suoi segreti su molteplici livelli, ad iniziare dalla sua forma.
Indicato come Locus amoenus dai latini, è uno spazio leggendario e archetipico, a partire dal giardino dell’Eden, il cui significato e le cui simbologie si trasformano nel corso dei secoli abbracciando le esigenze dell’uomo nei vari periodi storici. E se, nell’hortus conclusus, il giardiniere medievale diventa metafora del gesto creatore di Dio, da lì in avanti i modelli costruttivi del giardino ne rappresenteranno sfida e aspirazione a riprodurre una natura perfetta e al contempo dominata dall’uomo, includendo complessi apparati di simboli, riferimenti ai miti e allusioni.
La forma quadrata dell’hortus conclusus, ma anche del giardino persiano, a sua volta divisa in quattro settori da due sentieri che s’incrociano nel centro, richiama esplicitamente la simbologia del numero quattro, in analogia con i quattro elementi (acqua, terra, aria e fuoco) che, secondo gli antichi, erano alla base di tutte le manifestazioni della vita. I quattro elementi sono stati associati a filosofie, credenze spirituali e mediche, mondo alchemico e grammatica astrologica. Similmente nei primi orti botanici le aiuole erano realizzate secondo precisi disegni, a volte legate alle figure della geomanzia, considerata il più antico sistema divinatorio ancora oggi praticato in Occidente. Il giardino di Yoshimasa è ricco di riferimenti simbolici, alcuni dei quali verranno svelati via via nel corso del progetto. All’ingresso un piccolo melograno, albero associato alla Madre Terra, usato nei rituali d’iniziazione e di morte/rinascita fin dall’epoca minoico-micenea. In centro una semplice fontana di cemento, di forma rotonda e sormontata da una sfera da cui fuoriesce l’acqua, richiama numerose simbologie legate all’acqua, all’immortalità e alla rinascita presenti sia nel mondo occidentale che orientale. Le quattro piccole aiuole sono contrapposte a due a due evocando emozioni contrastanti. Verso il fondo del giardino l’aiuola delle piante velenose è messa in relazione con l’aiuola delle piante officinali, sottolinendo la dicotocomia vita/morte. Inoltre molte delle piante ospitate in entrambe le aiuole hanno proprietà sia terapeutiche che tossiche; a seconda della quantità utilizzata si possono infatti realizzare farmaci o veleni. Tra queste vi sono la Digitale Purpurea, l’Atropa Belladonna, l’Aconito e l’Assenzio. E così l’aiuola dei fiori neri e l’aiuola dei fiori verdi si avvicinano e contrappongono al contempo, enfatizzando la dicotomia tra speranza e disperazione.